È partito il “tour” nei talk show e nei salotti televisivi della famiglia Cecchettin. L’affondo di Feltri: “È il baratro mediatico”

Da Il Giornale 

“Gentile Direttore Feltri,
resto sbalordito dalla rapidità con cui il padre di una vittima di femminicidio è stato trasformato in personaggio televisivo, candidato politico, esperto di criminologia, attivista per i diritti delle donne, idolo e celebrità, tanto che domenica sera il signor Cecchettin, fresco di lutto, sarà ospite di Fabio Fazio, sul Nove. Ma le pare normale tutto questo? La prego, si pronunci almeno lei che ha il coraggio di dire le cose come stanno.
Mino Tomaselli”

Caro Mino,
rispondo alla tua lettera in questa placida domenica mattina, quindi prima della messa in onda della intervista che Fazio, questa sera, farà a Gino Cecchettin, suo attesissimo ospite pubblicizzato ovunque. Non conosco quindi il contenuto delle domande e delle risposte, tuttavia agevole è presumerlo, cioè immaginarlo. Immancabile sarà il quesito: «Si darà allora alla politica?». E Gino dirà commosso che non può escluderlo, che anzi gli piacerebbe al fine di dare un senso al trapasso della figlia.



È giusto e opportuno che si parli, anche con insistenza, della violenza contro le donne. Ma non comprendo perché elevare a guru nazionale il babbo di una ragazza ammazzata dall’ex partner. Si è sviluppata intorno a questo fatto di cronaca una specie di ossessione mediatica che ritengo insana, come dimostra, ad esempio, la prima pagina del quotidiano Repubblica di qualche giorno fa, che recava la fotografia della cameretta di Giulia, il titolo era: «Nella stanza di Giulia».

Il cronista si addentrava nell’intimo di una giovane uccisa, nel suo spazio privatissimo, con l’autorizzazione dei parenti di lei, allo scopo di svelarlo ed esibirlo al pubblico lettore, come se si trattasse di una diva di Hollywood e il paparazzo fosse riuscito ad introdursi in casa sua. Questo feticismo, questa mania, si manifesta anche negli attacchi di cui chiunque di noi diventa oggetto allorché si proclama contrario alle opinioni di Elena, sorella di Giulia, la quale attribuisce la responsabilità della morte della sorella al patriarcato, allo Stato, al governo e sostiene che il fischio per strada sia una sorta di preludio del femminicidio nonché che i maschi siano tutti potenziali stupratori, molestatori e assassini.



È vietato non essere d’accordo con la signorina, abile a diffondere pregiudizi di genere, e non applaudirla. E tale mania si esprime inoltre, caro Mino, in questa ospitata televisiva che lascia perplesso te e anche me.

Lungi da me l’intenzione di giudicare un uomo sofferente, che ha patito una perdita terribile, eppure non posso fare a meno di notare che i componenti di questa famiglia hanno dato prova di una capacità straordinaria di fare, per di più da subito, di un lutto una occasione per cambiare vita e carriera, per reinventarsi, per proporsi e per candidarsi alla copertura di ruoli attinenti alla politica, allo scopo, così sottolinea Gino, di «non dimenticare Giulia».

Ma per non dimenticare Giulia è proprio necessario specificare sulla rete di volere prendere un periodo di pausa dal lavoro e darsi all’impegno civico, cosa che ha fatto Gino, che si occupava di componentistica elettronica, almeno prima dell’assassinio di Giulia?

Di sicuro i media hanno aiutato i familiari di Giulia a divenire vere e proprie star.

Abbiamo fatto di persone qualunque, anche insulse in maniera disarmante, oserei dire addirittura insignificanti, tendenti a ripetere banalità, dei miti se non addirittura dei profeti e non sulla base di meriti, competenze, azioni eroiche, non sulla base di qualcosa che esse hanno compiuto, ma sulla base di qualcosa che esse hanno subito: la perdita della sorella e della figlia per mano di Filippo Turetta, non dello Stato, non del patriarcato, non del genere maschile. Padre e sorella seguitano a dire: «È colpa di tutti». Ascoltandoli mi sono chiesto più volte: intendono «tutti noi» o «tutti voi»? Ho il dubbio che neppure si includano mentre ci colpevolizzano collettivamente.

Questo fenomeno di celebrazione quasi religiosa di un soggetto in quanto ha patito qualcosa, a mio avviso, è sintomo di una malattia preoccupante.

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