Anche in Spagna la sinistra perdente pretende di governare. L’altolà del centrodestra: “Il governo spetta a noi”. Paese spaccato

Da InsideOver – Vittoria amara, vittoria di Pirro, vittoria a metà. Queste sono soltanto alcune delle definizioni utilizzate dai media per descrivere l’exploit conseguito dal Partito popolare (Pp) di Alberto Núnez Feijóo alle ultime elezioni spagnole. Il partito, primo della Spagna per numero di seggi ottenuti, è infatti lontano dal traguardo sperato alla vigilia: quella maggioranza assoluta che avrebbe consentito alla destra più moderata di governare il Paese in solitaria.

Alla fine i popolari hanno ottenuto 136 seggi, che neppure sommati ai 33 racimolati da Vox bastano a superare l’asticella dei 176 seggi necessari per prendere il timone della nazione. E pensare che soltanto una settimana fa Feijóo sognava in grande, auspicando una valanga di voti che gli avrebbe consentito di scalzare Pedro Sanchez senza alcun supporto esterno.



La realtà racconta invece di uno Stato, la Spagna, spaccato a metà. Lo si vede ancor meglio dando un’occhiata ai voti e lasciando per un momento da parte i seggi: il Pp ha superato i socialisti del Psoe per appena 300mila voti. Per i Popolari di Feijóo è una vittoria, certo, ma talmente piccola da richiamare quella ottenuta da José María Aznar nel 1996. “Il mio dovere è aprire il dialogo per cercare di governare“, ha dichiarato il leader del Pp rivendicando il suo “diritto a formare un governo”.

Vittoria amara

Impossibile, dunque, non etichettare il boom del Pp – che rispetto al 2019 ha incassato 47 seggi in più – come una “vittoria dimezzata“, e la debacle del Pse come una “sconfitta dolce”. Anche perché i socialisti sono riusciti a scacciare il fantasma del crollo che la maggior parte dei sondaggi ipotizzava, e hanno persino aggiunto due deputati ai 120 ottenuti nel 2019.



In tutto questo la Spagna è finita nell’incertezza politica più assoluta, tanto che i commentatori non escludono un nuovo voto da qui alla fine del 2023. El Mundo ha fatto presente che Sánchez potrebbe governare ancora formando una nuova alleanza affidandosi sui “perdenti”, con l’acquiescenza, sotto forma di astensione, di Junts, il partito di Carles Puigdemont.

Dall’altro lato, Feijóo potrebbe aggiungere altri due deputati al suo computo, inglobando sia il seggio conquistato dall’Unión del Pueblo Navarro che, con molto più impegno, quello della Coalición Canaria (gruppo che ha sempre spiegato di non voler sostenere un governo che includesse Vox). In ogni caso, il blocco di destra arriverrebe al massimo a 171 seggi. Cinque in meno rispetto al traguardo dei 176 richiesti per la maggioranza assoluta.

Gli scenari per la Spagna

È per questa ragione, forse, che Sánchez è apparso esultante nonostante la sconfitta sul campo. Il leader del Psoe sa di avere a disposizione alcune leve da attivare che potrebbero riaprirgli le porte della Moncloa. Una su tutte: lanciare, o meglio riproporre, la macro alleanza con la sinistra radicale, ora rappresentata da Sumar, più i partiti indipendentisti e lontani dalla destra.

Con l’appoggio di tutte queste formazioni, Sánchez potrebbe giurare al secondo turno e formare nuovamente un governo di coalizione progressista, condannato però a cedere continuamente alle richieste del movimento indipendentista per garantire la governabilità della Spagna.

Vale infine la pena sottolineare che i due “partiti stampella” di popolari e socialisti, e cioè Vox a destra e Sumar a sinistra, sono stati ben lontani dai risultati a cui aspiravano. Santiago Abascal si è dovuto accontentare di 33 seggi, perdendo 19 deputati rispetto alle elezioni del 2019, pur essendo sempre la terza forza in gioco. Sul fronte opposto, la piattaforma multipartitica di Yolanda Díaz non è riuscita nemmeno a eguagliare i 35 seggi ottenuti nelle ultime elezioni generali da United Podemos.

In attesa di capire cosa accadrà in Spagna, Feijóo non può che essere frustrato. Il leader dei popolari sa che, nonostante abbia vinto con il minimo di voti e abbia 14 seggi in più rispetto ai socialisti, potrebbe non esser lui a governare il Paese.

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